top of page

I “Niguri di Sant’Anna. Un’altra Rosarno raccontata dal regista Antonio Martino


Antonio Martino, filmaker, vincitore del primo premio al Planet in Focus di Toronto 2009 con il documentario Pancevo_mrtav grad e della tredicesima edizione del Premio Ilaria Alpi per il documentario Gara de Nord_copii pe strada (sezione inediti televisivi), ha presentato lo scorso dicembre – nell’insolita cornice dell’Antoniano di Bologna - il primo documentario autoprodotto integralmente girato a Sant’Anna, frazione di Isola Capo Rizzuto alle porte di Crotone. I luoghi del film sono quelli che circondano il centro d’accoglienza che, proprio in questi giorni, ha aperto i cancelli ai migranti sopravvissuti all’accampamento di Rosarno, fino agli scontri tra loro e le popolazioni residenti nel territorio. Il titolo del documentario, “Niguri”, che in italiano significa “Negri”, è già un’anticipazione, nella sua traduzione dal dialetto crotonese, dell’argomento affrontato dal regista e del modo di considerare l’essere umano dalla pelle scura negli agglomerati urbani economicamente e culturalmente poco progrediti che si estendono attorno a questo centro di ricovero per extracomunitari in fuga dalla miseria o dalle guerre. Il regista, nato e vissuto fino all’età di diciotto anni proprio a Sant’Anna, è già noto per il suo impegno sociale e le pellicole di denuncia come quelle che ci hanno rivelato la vera vita dei bambini di strada in Romania. Con “Niguri” Martino racconta, attraverso le semplici parole (spesso malamente articolate in un italiano stentato o in un dialetto perfetto) della gente di Sant’Anna, l’aria di diffidenza e paura che si respira intorno ad uno dei due centri destinati a ricevere i migranti trasferiti da Rosarno dopo gli scontri di questi giorni. Nel suo ultimo lavoro la sua telecamera si anima semplicemente attraverso le voci dei cittadini che vivono attorno al centro d’accoglienza di Isola Capo Rizzuto. Ne viene fuori una cruda realtà fatta di parole razziste pronunciate da un popolo perennemente arretrato e che ha conosciuto – senza mantenerne memoria - i dolori dell’emigrazione, dell’emarginazione e della povertà. La realtà cinematografica del suo “Niguri” ha anticipato, come una profezia, l’esplosività di un clima d’odio già maturo da tempo. La Calabria si scopre più razzista della “Padania” o c’è dell’altro? “La Calabria, a differenza della ricca Padania, è storicamente povera, ignorata dallo Stato e dalle istituzioni e tenuta sotto scacco perenne dalle cosche mafiose. Io penso che gli abitanti del villaggio Sant’Anna non conoscano proprio il significato della parola razzismo, magari anche per ignoranza. Loro si limitano solo a difendere, a volte con modi discutibili, quel poco che hanno, quel poco che lo Stato ha elemosinato ad essi e che con malavoglia sono adesso costretti a dividere con questi nuovi ospiti. Poi sì, c’è la paura del diverso, la paura del Niguro, anche la diffidenza e a volte l’odio, ma non è lo stesso atteggiamento che potrebbe avere un uomo in Padania, che fa del disprezzo dell’immigrato una filosofia di vita.” C’è dell’altro solo fuori dai centri d’accoglienza oppure, dal suo punto di vista, nel meridione d’Italia si possono concludere affari anche grazie agli sbarchi dei clandestini e con la gestione dei centri allestiti per accoglierli? “Diciamo che c’è poco altro. Il giro di soldi che ruota intorno ad un campo di accoglienza (o di riconoscimento ed espulsione) si aggira più o meno intorno ai 40 milioni di euro. Sono tanti soldi, soldi che altrimenti non si potrebbe mai e poi mai vedere in una zona come quella di Isola Capo Rizzuto. Tutti questi soldini mettono su una macchina economica, quasi un’industria dell’accoglienza. Tale macchina, per funzionare deve girare a pieni regimi, sempre, proprio come una fabbrica. E’ ovvio che per girare ha bisogno di uomini disperati che hanno bisogno di aiuto. Quindi più disperazione esiste, più queste macchine girano e funzionano. Che dire? Penso sia chiaro il concetto. Cosa succederebbe se all’improvviso le cose andassero benissimo per gli immigrati clandestini? Cosa succederebbe se non arrivasse più gente disperata bisognosa di aiuto in Italia? Succederebbe che questi campi (e non solo queste realtà) chiuderebbero con una disastrosa bancarotta e centinaia di persone Italiane (con famiglia) resterebbero senza lavoro. Questo sistema di accoglienza si sta allontanando sempre più da un’idea umanitaria di accoglienza e si avvicina sempre più al concetto di una economia dei disastri . Come scriveva Noemi Klein nel suo “Shok economy”, oggi enormi realtà economiche quotate in borsa investono sui risanamenti dei disastri. Questo nuovo tipo di economia per restare viva ha continuamente bisogno di disastri e disperazione.” Nel documentario un’anziana signora parla, oltre che del suo personale terrore verso il forestiero, di quello dei suoi cagnolini per gli immigrati di colore mentre li confonde con gli “albanesi” e di come le bestie scappino alla vista dei “niguri” perché hanno naturalmente paura del colore nero. Pensa che i mezzi di comunicazione di massa (spesso si parla di albanesi e rumeni che delinquono a tutto svantaggio delle inermi vittime italiane) abbiano un qualche ruolo preoccupante nella svolta razzista dell’italiano medio o, più semplicemente, ci troviamo di fronte ad una paura concreta del “diverso” al di là di quella eventualmente indotta dall’eccesso di cronaca nera? “Io penso che se quella signora anziana avesse una buona pensione e un buon standard di vita, se vivesse in un luogo con delle luci per strada, dei cartelli stradali, dei numeri civici alle porte, le fogne, un ambulatorio medico e tante altre cose basilari che a Sant’Anna mancano da sempre, penso che sarebbe la prima a voler aiutare queste persone. Ma questa, come molte persone l’hanno definita, è una guerra tra poveri, dove i Nìguri non sono solo i richiedenti asilo, ma anche i santannesi. I media, non solo quelli italiani, hanno fallito e continueranno a fallire. Perché non solo criminalizzano, fanno il volere dei vari politici, impastano, non chiarisco, ma arrivano sempre tardi, anzi, sono sempre gli ultimi ad arrivare. Infatti, se tu pensi, il mio film è pronto dallo scorso settembre ed è da mesi che cerco di chiamare giornali, televisioni, avvertendo che in Calabria esisteva un chiaro pericolo di tensioni sociali tra gli immigrati e gli autoctoni. Ho ricevuto solo rifiuti, risatine in faccia oppure risposte che consideravano la notizia e il mio film di poco interesse, oppure un caso estremamente isolato. Dopo i fatti di Rosarno mi hanno chiamato quasi tutti i media nazionali, tutti volevano vedere il film, tutti volevano fare lo scoop! E’ informazione questa? Arrivano sempre in ritardo, gli ultimi, è questa la verità!” Dalla zona di Rosarno sono stati trasferiti più di 1000 immigrati verso i centri di Sant’Anna e di Bari. Come pensa che potranno reagire le persone che vivono a pochi passi dal reticolato del centro d’accoglienza, cioè i protagonisti della sua pellicola, a parte i cagnolini calabresi che, grazie al suo documentario “Niguri”, sappiamo essere già molto terrorizzati dalla pelle nera? “Sicuramente nella contrada non si è felici per questo, ma dopo tutte le accuse di razzismo verso i calabresi adesso ci pensano due volte prima di dire qualcosa, anzi, a sentir alcune voci adesso ci si commuove per questa gente. Ecco, per tornare ai media ed al loro potere: un passaggio mediatico della notizia di un certo tipo, ha quasi trasformato gli umori di una cittadina che fino ad un mese fa vedeva questi ospiti immigrati come appestati.” E’ stata ordinata la demolizione dell'ex fabbrica Rognetta che ha ospitato, per troppo tempo nell’indifferenza, centinaia d’immigrati (insieme a topi e scarafaggi) nelle identiche condizioni di precarietà vissute da tanti calabresi che, non molto tempo addietro, lasciarono l’Italia alla ricerca di un futuro migliore. Anche il riposo, dopo 12 ore di lavoro nei campi per pochi spiccioli, diventava inumano in quel ricovero insalubre. Pause di poche ore, per prepararsi alla successiva giornata di schiavitù, tra cartoni, umidità e assenza di servizi igienici. Dopo tanta ghettizzazione, crede che il Centro di Sant’Anna possa considerarsi una soluzione alternativa e confortevole? “Vorrei dire una cosa sul centro di Sant’Anna: io non sono mai entrato dentro, ma so molto di quello che succede all’interno, e posso dire che i gestori seguono le direttive di legge alla lettera. In passato non so, ma adesso è cosi, quindi tutto quello che succede in quel campo è perfettamente legale. Se poi le leggi ministeriali che regolano la gestione sono sbagliate, questo è un altro paio di maniche. Io non darei la responsabilità a chi gestisce il campo, che in un modo o nell’altro può fare degli sbagli o ne può approfittare, ma alla politica italiana delle alte sfere che legifera in modi sbagliati su questioni molto delicate. Mi chiede se il centro di Sant’Anna possa considerarsi una soluzione alternativa e confortevole per queste persone? Beh, le dico solo questo: mia sorella, che casualmente si trovava a Sant’Anna nel giorno dell’arrivo dei Nìguri di Rosarno, mi ha detto che un paio di ore dopo il loro arrivo nel campo, hanno ripreso i loro bagagli in mano e sono andati a Crotone a piedi per prendere un treno e scappare immediatamente! La scena era impressionante a detta di mia sorella! Centinaia di Nìguri, bagagli alla mano, in fila indiana sulla statale 106 verso la stazione di Crotone, che comunque dista dal campo almeno 15 KM. Sono stanchi e dei calabresi non ne possono più!” In “Niguri” non si vedono scene di vita all’interno del centro d’accoglienza di Sant’Anna. La sua telecamera è rimasta fuori dal campo soltanto perché voleva cogliere i sentimenti d’odio più o meno latenti di un popolo di ex emigranti non nuovo alla stessa esperienza d’intolleranza? L’intenzione era quella di catapultare all’indietro lo spettatore fino ad avvicinarlo idealmente alle tristi esperienze d’emigrazione dei calabresi o ci sono altri motivi che l’hanno spinta in questa sola direzione? “Si, volevo fare un film antropologico, un film che parlasse dell’uomo e delle sue emozioni. Tutto qui. Ed è proprio per questo che il mio film non è attaccabile politicamente e che si presta a diverse considerazioni. Tutti i miei film comunque sono in linea con quella che viene definita da vari sociologi “reflexive modernity”(Beck), la filosofia dei nostri tempi, una filosofia che vede tornare al centro della società l’uomo e dall’altra parte vede crollare la fiducia e la credibilità delle istituzioni. Quindi andare nel campo avrebbe voluto dire avere a che fare più o meno con l’istituzione, e questo non mi andava. Ho lasciato parlare la gente, quella vera. Zero politica, zero esperti in materia, zero religiosi. Solo le voci dirette della gente (autoctoni e Nìguri) che quotidianamente ha a che fare con questa forzata convivenza.” Non pensa che possano replicarsi, all’interno del centro d’accoglienza, condizioni di vita - certamente diverse da quelle dell’accampamento di Rosarno – ma non proprio adeguate a un uomo che possa definirsi tale? “Ripeto, il campo di Sant’Anna è continuamente monitorato, quindi se si dovessero creare situazioni di disagio e di non umanità (e in passato ci sono state), sono situazioni volute se non create ad hoc dal Governo. Tutto qua. Dal 2007 un decreto ha aperto i cancelli del campo, sia agli ispettori, sia ai Nìguri stessi che posso uscire fuori dalla mattina alla sera, e sia alle troupe televisive. Io invece penso che ci sia tutta una mossa da parte dello Stato per declassare questa gente immigrata, di farla passare come dei diversi, dei miserabili, e come gente pericolosa. Solo cosi lo sceriffo (Maroni) avrà un nemico da combattere per poi raccogliere voti sulla faccenda. Premetto che io non ho mai votato in vita mia, e quindi penso di essere un anarchico puro! Ma penso che, sia da destra che da sinistra, si abbia sempre il bisogno di figure furbe attorno alle quali fare politica: il clandestino, il romeno che stupra, l’omosessuale perseguitato, il musulmano terrorista estremista, il bullo a scuola etc etc.” E’ ovvio che se queste figure non esistono nella società bisogna crearle, oppure favorirne la nascita.” A questo punto, parafrasando Primo Levi, se questi “niguri” sono uomini, potrebbe servire – in un prossimo futuro - spostare l’occhio vigile della sua telecamera all’interno del centro di Sant’Anna proprio come si è fatto nei capannoni dismessi di Rosarno? “Io penso che il campo si debba chiudere, tutto qua! Riproporre sistemi nuovi di accoglienza, dove ad arricchirsi debbano essere tutte le parti, autoctoni, gestori e Nìguri. Ma la vedo dura, molto, molto dura.”

Link originale

articolo21

bottom of page